Articolo aggiornato giorno 28 Agosto 2023
Una biografia, questa, probabilmente tra le più allucinanti che ci sia mai capitato leggere, poichè il pensiero di essere prigionieri di un mostro per 3096 giorni, ovvero otto lunghi anni, è per la nostra mente qualcosa di inconcepibile. Ed è proprio quello che è successo alla protagonista, Natascha Kampusch, rapita a Vienna il 2 marzo 1998 all’età di 10 anni, da Wolfgang Priklopil, un radiotecnico 35enne.
Nelle prime pagine del libro la ragazza racconta un pò della sua normalissima vita, fino a quella mattina in cui, mentre si recava a scuola, è iniziato il suo incubo, all’interno di un furgone bianco, proseguito poi dentro una sorta di bunker sotto la casa del rapitore, di circa tre metri per due, chiuso da una porta di cemento armato nascosta dietro un mobile.
L’uomo per tutti questi anni cerca di sottometterla in ogni modo, di plasmarla come lui la desidera controllandone ogni aspetto; del suo corpo (ad esempio facendole il bagno o rasandole i capelli) e della sua vita. Infatti sarà lui a stabilire se, quando e cosa mangiare, affamandola se lei non lo asseconda nelle sue manie, accendendo o spegnendo la luce a suo piacimento, addirittura parlandole attraverso interfoni per farle sentire la sua presenza costante. La prigionia non è solo fisica, ma anche e soprattutto mentale.Dopo qualche mese infatti le è permesso di salire in casa, per fare le pulizie, ma sarà costretta a indossare solo una maglietta senza biancheria intima, con lo sguardo sempre basso, e addirittura per toglierle ogni identità le sarà cambiato anche il nome.
Qualche volta potrà uscire in giardino, alcuni giorni sono andati addirittura in giro, e il perchè non abbia tentato la fuga in queste occasioni, ce lo spiega lei col fatto che la minacciava di uccidere tutti se avesse provato a fuggire.
Il racconto è lucido e devastante per chi lo legge,e se manca ogni riferimento agli abusi sessuali è solo perchè Natascha ha scelto di tenere per sè almeno questa sfera intima, essendo stata privata di tutta una parte della sua vita.
La prigionia si interromperà finalmente il 23 agosto 2006, mentre lui si allontana per rispondere al telefono e lei, che si trova in giardino a lavare l’auto, riesce a reagire e a trovare il coraggio di riappropriarsi della sua vita. Dopo qualche ora il suo aguzzino si getta sotto un treno.
Una lettura appassionante e utile per capire i meccanismi che si innestano nella mente umana quando subentra l’istinto di sopravvivenza, come lei scrive ” «Dovevo accettare, a volte apparire sottomessa per sopravvivere, altre volte dovevo impormi e sembrare più forte di lui: non ho mai obbedito quando mi chiedeva di chiamarlo “padrone”», e ancora “«Dopo un paio di mesi passati in prigione, lo pregai per la prima volta di abbracciarmi. Avevo bisogno del conforto di un contatto, di sentire il calore umano… Mi sentivo infinitamente piccola e debole».
Consigliato perchè le mente umana è un mistero, e come la ragazza in seguito ha affermato in un’intervista: “Niente è solo nero o solo bianco. E Nessuno è soltanto buono o cattivo. Ciò valeva anche per il mio rapitore. Queste sono frasi che non si ascoltano volentieri quando sono pronunciate da una vittima di un rapimento. Perché cosi viene meno lo schema ben definito del Bene e del Male che utilizziamo volentieri per non perdere l’orientamento in un mondo pieno di sfumature grigie”.
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