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Articolo aggiornato giorno 26 Marzo 2024
Il filo di Auschwitz è un libro dell’autrice Véronique Mougin edito nel 2019 da Corbaccio, nella collana Narratori Corbaccio di 480 pagine. Traduzione di Lucia Corradini Caspani.
Il Filo di Auschwitz: la recensione
Il filo di Auschwitz racconta la storia di un ragazzino ribelle, Tomas detto Tomi, che vive nell’Ungheria della seconda guerra mondiale. È la sua stessa voce quella che racconta cosa sono costretti a subire gli ebrei ungheresi con l’avvento del nazismo, dalle restrizioni fino alle violenze, alle sinagoghe distrutte.
Tomas vede tutto questo ma è pur sempre un ragazzino e la cosa che gli procura più fastidio è l’insistenza di suo padre nel volergli far imparare a tutti i costi il mestiere di sarto.
Per quel mestiere suo padre ha una vera vocazione, sa come tagliare e confezionare abiti, quali sono i tessuti migliori, come dare forma ad uno stile semplicemente con ago e filo.
Tomas invece non condivide la passione del padre e nulla gli importa di imparare quel mestiere. Ironicamente, sarà invece proprio quello a cambiare il suo destino.
Insieme alla sua famiglia ne Il filo di Auschwitz di Véronique Mougin, Tomas viene deportato nel campo di concentramento di Auschwitz: qui subito non rintraccia più quasi nessuno dei suoi, se non il padre. Qui, anche se Tomas ancora non lo sa, una speranza di sopravvivere puoi averla se sai fare qualcosa e lui e suo padre per fortuna sanno cucire.
Sarà proprio questa abilità, anche se imparata controvoglia, a salvare Tomas dal lager, anche se nel frattempo intorno a lui la gente muore di fame, freddo, malattie, uccisioni da parte delle SS, anche se viene torturata, anche se la guerra pare non finire mai.
Il filo di Auschwitz racconta la trasformazione di un ragazzino ribelle in un uomo, una trasformazione di cui è responsabile proprio il campo di Auschwitz con i suoi orrori quotidiani. Tomas sopravviverà con il padre ma il ragazzino non esiste più: ora esiste solo un giovane che vuole riscattarsi, un uomo a tratti duro, che nulla ha a che fare con il Tomas del 1944.
Ne Il filo di Auschwitz Véronique Mougin racconta anche il dopo. Tomas e il padre, scoperto che il loro mondo in Ungheria non esiste più, emigrano a Parigi, la capitale dell’alta moda e sarà lì che Tomas potrà finalmente dar libero sfogo alla sua creatività di sarto e stilista, mestiere che ha imparato ad amare e che ormai fa parte di lui.
Un romanzo che fa riflettere su come l’esperienza traumatica del campo di concentramento possa aver trasformato i sopravvissuti, anche i più giovani, dopo aver visto e sopportato atrocità da parte dei nazisti, cosi che chi è entrato al campo, anche se è sopravvissuto, spesso ne è uscito senza più la sua identità.
Secondo me Il filo di Auschwitz è un libro che racconta la vicenda di una rinascita, di un riscatto dopo la prigionia, ma che lascia intendere come chi sopravviveva ai campi spesso portava per sempre dentro di sé ferite che non si sarebbero mai rimarginate.
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