Articolo aggiornato giorno 7 Marzo 2016
Jona Oberski è solo un bambino quando viene deportato insieme ai genitori in un campo di concentramento. Nato nel 1938 ad Amsterdam da una famiglia ebrea, come tale Jona vive le leggi contro il suo popolo emanate da Hitler e applicate anche nei Paesi Bassi con l’occupazione nazista. Pur essendo un bambino si rende conto che gli ebrei sono “diversi” e come tali vengono trattati: devono indossare la stella gialla, non possono entrare in certi negozi, hanno solo divieti e nessun diritto.
Se all’inizio si tratta di privazioni, in seguito si arriverà alle retate, ai pestaggi, fino alla deportazione verso luoghi ignoti da cui nessuno è mai tornato. Toccherà anche alla famiglia di Jona, quando già pensava di poter emigrare e quindi salvarsi in Palestina. Jona e la madre resteranno insieme nei campi, ma saranno separati dal padre, anche se riusciranno a vedersi ancora.
È il bambino stesso, una volta diventato adulto, a narrare la terribile esperienza dei lager, di come lui sia riuscito miracolosamente a sopravvivere (solitamente i bambini venivano mandati subito alle camere a gas) mentre i suoi genitori non avranno la stessa fortuna. Il padre morirà nel campo, la madre riuscirà a resistere fino alla liberazione ma poi, gravemente malata, denutrita e stanca, morirà lasciando Jona con una conoscente.
Jona, rimasto orfano, non ha più voglia di vivere. Rifiuta di mangiare, di parlare, di reagire. Trude, l’amica che lo ha tenuto con sé dopo essere stata a sua volta liberata dal campo, lo porta dal signor Daniel, l’ex capo del padre di Jona, che con la moglie decide di prendersi cura del bambino. Inizialmente Jona, traumatizzato da ciò che ha dovuto sopportare fino a quel momento, sembra indifferente a tutto, ma tornerà a vivere grazie alla pazienza e all’amore della sua famiglia adottiva.
Da questo libro è stato tratto il film “Jona che visse nella balena” del regista Roberto Faenza.
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