Cargo di Orchidee di Susan Musgrave

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Articolo aggiornato giorno 7 Luglio 2018

Nel 2000 Susan Musgrave, enfant prodige (o terrible, secondo i punti di vista), della letteratura canadese, pubblica Cargo di Orchidee (edito in Italia nel 2005 da Meridiano Zero), sofferta opera per stendere la quale ha impiegato otto anni.

Cargo di Orchidee: la recensione

Il romanzo è raccontato in prima persona da una scrittrice che, “ospite” del Braccio della Morte per aver ucciso il figlio, tira le somme della sua movimentata esistenza. A farle compagnia Rainy e Frenchy “le due migliori amiche che ha sempre sognato di non avere”, con le quali (o forse tramite le quali) alterna dissacrante ironia, uno dei pochi modi per sopravvivere nel Braccio, a critiche al vetriolo al sistema giudiziario statunitense e all’istituto della pena capitale.

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La narrazione al presente si alterna con quella al passato, sul percorso che l’ha portata ospite del Paradiso (gioco di parole che usa il nome della località dove sorge il carcere).

Lei è una giovane scrittrice che i casi della vita hanno portato a tradurre l’autobiografia di Carmen Marìa de Corazòn, moglie di un boss di uno dei più potenti e sanguinari cartelli della droga colombiano. Rapita da un gruppo di guerrigliere (Las Blancas), Marìa viene rilasciata sotto il pagamento di un riscatto e da allora si alterna fra il Sud America e gli Stati Uniti.

Proprio qui, a New York, Carmen organizza l’incontro con la giovane protagonista per iniziare il lavoro che cambierà indissolubilmente (e inevitabilmente) la vita di entrambe. Dopo l’incontro, la protagonista si reca al carcere di Vancouver per incontrare il marito di Carmen e suoi due fratelli; lo scopo è legato alla traduzione e al rapporto con Carmen, ma con uno dei due fratelli (Angel, marito della violenta Consuelo) nascerà una veloce quanto intensa storia d’amore che avrà come (quasi) inevitabile conseguenza un’inaspettata gravidanza.

Consuelo ovviamente non potrà digerire la cosa e quindi farà rapire la traduttrice (e ormai amica) della cognata e con essa inizierà una rocambolesca esistenza.

Un romanzo denso, ricco di colpi di scena che alterna fasi di pura narrazione a fasi di denuncia sociale per la condizione dei detenuti nelle carceri americane e sulla questione del narcotraffico.

Per una corretta lettura dell’opera è però importante sottolineato che il romanzo è in parte autobiografico (motivo per cui viene narrato in prima persona, come se Susan Musgrave fosse lo pseudonimo della traduttrice), perché Susan ha davvero avuto una storia con un bandito scrittore, tale Stephen Reid, e lo ha poi sposato avendo da lui due figli.

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Andrea Camporese
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