La Morte dell’Erba di John Christopher

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Uscito per la prima volta nel 1956, La Morte dell’Erba di John Christopher (pseudonimo di Sam Youd) è un classico del genere. Forse il primo romanzo fantascientifico a carattere “ecologico”, dove la terra e la natura sembrano rivoltarsi all’incessante sfruttamento umano producendo un virus (Chung Li) che dalla Cina si diffonderà in tutto il mondo lasciando dietro di sé solamente terra arida e secca.

La morte dell’Erba: “un opera drammatica ed emozionante”

la morte dell'erba retro


La Morte dell’Erba ruota attorno a due figure principali, due fratelli: John e David Custance. Il primo (John), sposato con due figli, vive a Londra e trascorre la sua esistenza immerso nella “Englishness” fra the delle cinque, il country club, il bridge e qualche amico. Il secondo (David) vive invece a Blind Gill, un’enclave naturale chiusa all’interno di un ferro di cavallo di colline con un unico stretto accesso, ricevuta in eredità dal nonno paterno. Qui David coltiva la terra, frumento e orzo per lo più (almeno fino allo scoppiare dell’epidemia, quando deciderà di commutare tutto a patate e barbabietole), e alleva bovini e suini, assieme al vecchio fattore che aiutava già suo nonno. A differenza di John, anestetizzato dal tran tran cittadino e sostanzialmente abituato ad avere un limitatissimo rapporto con la natura, David è particolarmente sensibile agli avvenimenti iniziati in Cina e nell’Estremo Oriente, dove decine di migliaia di ettari di raccolto in pochi mesi sono andati distrutti a causa di Chung-Li e dove milioni di persone muoiono sotto l’effetto delle conseguenti tremende carestie.

Gli accadimenti dell’Asia sono però lontani, per lo meno nel quotidiano sentire dei londinesi, e Christopher sottolinea molto bene questo atteggiamento attraverso la figura di Roger Buckley, forse il migliore amico di John, un tizio cinico e pragmatico preoccupato solamente della sua giornata (tant’è che la moglie di John, Ann, non lo sopporta). La Cina e l’Asia sono talmente lontani che Buckley arriva al punto di considerare gli asiatici altro dagli europei: in un passo del libro li descrive addirittura come estremamente disorganizzati, caotici, non c’è quindi da stupirsi che i razionamenti non abbiano funzionato e che alla fine le masse, prese dal panico, si siano scontrate con le forze dell’ordine producendo massacri e distruzione senza fine. Dopo la Cina arriva però il momento dell’India, del Pakistan, del Giappone: anche in questo caso, tuttavia, l’apatia inglese (forse Occidentale?) ha il sopravvento al punto che, se inizialmente le opere di supporto alle popolazioni in difficoltà si erano susseguite a ritmo incessante, dopo neanche un anno i media non parlano nemmeno più della situazione in quelle terre lontane.

Questo sarà un punto sostanziale del romanzo di Christopher: il sentirsi altro, quasi intoccabili rispetto al destino capitato a popoli simili e tutto sommato non così lontani. Sembra di leggere pagine di estrema attualità, soprattutto alla luce dei fatti di cronaca degli ultimi tempi.

Ovviamente la tranquilla situazione inglese non dura a lungo e Chung Li invade ben presto anche le lande britanniche (nella sua quinta mutazione, in particolare), con buona pace di tutti quelli (come Buckley) che, nonostante tutto, continuano a pensare che le terre di Sua Maestà non avranno a patire la stessa sorte dei barbari. Nel progressivo deterioramente della condizione inglese, John prenderà l’unica decisione sensata a disposizione: accoglierà l’invito di suo fratello e condurrà la sua famiglia a Blind Gill, attraversando una terra irriconoscibile, devastata dal virus e ricoperta dalle carcasse degl animali abbattuti a causa della mancanza di foraggio (nella sua ultima mutazione il virus non attaccherà solamente il grano ma qualsiasi forma di graminacea), dalle fattorie saccheggiate e date alle fiamme, dalla desolazione. Lungo la strada John, così come Roger e tutti gli altri protagonisti, cambierà irrimediabilmente adattandosi anche troppo in fretta (se ne stupirà di frequente) alla nuova condizione e abbandonando, altrettanto in fretta, le consuetudini civili ereditate da secoli di evoluzione culturale.

La Morte dell’Erba è un fenomenale romanzo sociale, oltre che di fantascienza, che ci mette sotto al naso (se per caso ce ne fosse ancora bisogno), la cruda e triste realtà del nostro quotidiano: siamo troppo assuefatti alle comodità e al benessere, per preoccuparci di quello che accade ai nostri simili e che, inevitabilmente, presto o tardi toccherà anche noi. Siamo miopi rispetto ai drammi del Mondo, sempre convinti che questi siano fatti lontani, relegati in qualche remota regione del Pianeta. Prima o poi, però, il conto si paga e questo credo sia il monito sostanziale che John Christopher ha voluto lasciarci.

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Andrea Camporese
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