Articolo aggiornato giorno 6 Marzo 2016
Tra tutti i libri scritti da Mario Rigoni Stern, credo che Le Stagioni di Giacomo sia uno dei più commoventi. Il libro racconta la storia di Giacomo, compagno di banco alle elementari di Mario, che con lui e insieme ai coetanei del paese condivide le esperienze dell’infanzia e dell’adolescenza sull’Altipiano di Asiago. Dopo la fine della prima guerra mondiale (Emilio Lussu scriverà le sue memorie del luogo in “Un anno sull’Altipiano”) la popolazione dei Sette Comuni si ritrova a dover ricostruire case, stalle, orti, a ricominciare a vivere con poco. Molti riescono a sopravvivere diventando dei recuperanti, cercando cioè bombe e altri reperti bellici lasciati dalla guerra appena terminata. Tra questi, anche Giacomo che pur essendo solo un bambino si arrangia in un mestiere che è stato fatale a molti.
Purtroppo sia Mario sia Giacomo dovranno partire per la guerra, nel corso del secondo conflitto mondiale. Mario lascia il “suo” Altipiano e si ritrova ad affrontare la guerra nel freddo della Russia, diventa sergente (scriverà al ritorno il famoso “Sergente nella neve”) e riuscirà a tornare a casa. In un passaggio del libro Rigoni Stern ricorda come, passando accanto ad una isba, ad un certo punto lesse una frase, un saluto ai paesani che passavano da lì, firmato da Giacomo.
L’amico d’infanzia però ha concluso le sue stagioni. Ha vissuto la fame, la miseria, il lavoro duro, ma anche la bellezza della natura, l’amicizia, ha visto la guerra ma sull’Altipiano non farà ritorno mai più. Ecco che allora il libro vuole essere anche una sorta di omaggio alle tante vite di giovani spezzate per sempre dalla guerra, quelli che, come direbbe Gioanin de Il sergente nella neve “non sono riusciti a rivar a baita”. Un libro poetico che parla di uomini, di boschi, di fatiche, di un’amicizia che neppure la morte ha cancellato.
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