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L’orologiaio di Brest di Maurizio de Giovanni è un romanzo che affonda le mani nelle pieghe più oscure della storia recente italiana, riportando alla luce ferite mai del tutto rimarginate. Non è solo un thriller, non è solo una ricostruzione narrativa degli anni di piombo: è soprattutto un’indagine sulle identità spezzate, sulle colpe ereditarie e su quel silenzio che spesso avvolge le famiglie quando il passato diventa troppo pesante per essere raccontato.
Con questo libro, de Giovanni firma un’opera che si distingue all’interno della sua produzione, diventando il romanzo che, come viene detto, “non aveva mai scritto”: una storia in cui il tempo non è un semplice indicatore di eventi, ma un personaggio vero e proprio. Un orologio fermo, simbolo di un’Italia sospesa tra memoria e oblio.
Vera Coen: il tempo della verità e delle disillusioni
Al centro della vicenda c’è Vera Coen, giornalista di un quotidiano locale. Porta nel nome il suo destino: Vera, chiamata a cercare la verità anche quando farlo significa mettere in discussione tutto ciò che conosce.
Ha quarant’anni, un’età di bilanci. Il suo lavoro precario e insoddisfacente non le restituisce il senso di missione che immaginava, e il dubbio di aver compiuto scelte sbagliate pesa come una pietra. Ma è una scoperta sconvolgente a rimettere tutto in discussione: una rivelazione che riguarda il suo passato, una ferita lontana quattro decenni che torna improvvisamente a pulsare.
Il tempo per Vera sembra essersi bloccato proprio lì, in quell’evento che credeva lontano e innocuo, e che invece si rivela la chiave per comprendere ciò che è stata e ciò che potrebbe ancora diventare.
Come il Paese che la circonda, anche lei si ritrova con un “orologio fermo”: un ricordo che la costringe a guardare indietro prima di poter avanzare.
Andrea Malchiodi: un uomo segnato dalle incomprensioni
A incrociare la strada di Vera è Andrea Malchiodi, professore di quarantatré anni, la cui esistenza è stata piegata da una serie di sconfitte. La sua carriera accademica è stata troncata da uno scandalo in cui è stato coinvolto ingiustamente; il suo matrimonio è finito lasciando tra lui, la moglie e la figlia un mare di incomprensioni.
Ma il dolore più grande viene da un legame molto più profondo: quello con la madre, malata, che lo ha cresciuto da sola dopo averlo concepito in una sola notte nei primi anni Settanta, “gli anni della rivolta”.
Andrea vive sospeso tra il rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere e l’impossibilità di chiudere il cerchio con chi gli ha dato la vita. La malattia della madre è una lente che deforma i ricordi, e allo stesso tempo un detonatore emotivo: la memoria personale si intreccia con quella collettiva di un Paese ferito.
La trama prende una svolta decisiva quando, in un giorno come tanti, Andrea si trova davanti Vera. È lei a parlare per prima, a confidargli una rivelazione destinata a cambiare il corso delle loro vite: esiste un filo di sangue che li unisce, un evento tragico accaduto circa quarant’anni prima, una ferita nascosta nella storia di Vera e capace di riscrivere completamente quella di Andrea.
De Giovanni mostra con delicatezza come la scoperta del passato possa sovvertire ogni certezza, trasformando l’identità in un terreno scivoloso. Per Andrea inizia un percorso che è allo stesso tempo ricerca, fuga e resa dei conti: per comprendere sé stesso deve affrontare ciò che per decenni è rimasto celato.
L’uomo degli ingranaggi e la notte della Repubblica
Il romanzo si immerge così in un’indagine che attraversa i momenti più cupi della storia italiana recente: gli anni di piombo, la stagione della violenza politica, gli echi dei gruppi armati e delle lotte che insanguinarono le città.
La figura che emerge dal passato è quella del misterioso “uomo degli ingranaggi”, un esperto di armi ed esplosivi, militante di un’organizzazione combattente, poi diventato primula rossa e custode di segreti pericolosi.
È lui il cuore nero della storia, l’ingranaggio che ha fermato il tempo nelle vite di Vera e Andrea, l’uomo la cui ombra si proietta su tutta la narrazione come simbolo di un’Italia sospesa tra ideali e violenza.
Il nastro si riavvolge fino agli anni Ottanta, un periodo in cui le ultime scintille della lotta armata convivevano con l’alba di un’epoca che sembrava nuova ma che, come scrive l’autore, era dominata “dai Gattopardi di sempre”: il cambiamento apparente che nasconde la continuità del potere.
Una metafora potente: l’orologiaio di Brest
Il titolo del romanzo racchiude una metafora perfetta: una vecchia foto dimenticata, un ricordo che la memoria aveva sepolto e che riaffiora portando con sé la verità.
L’orologiaio, colui che lavora sugli ingranaggi, è anche chi manipola il tempo, chi lo blocca, lo altera, lo incastra in una storia che non scorre più.
È il passato che non passa.
È la verità che, anche se soffocata, torna sempre a chiedere ascolto.
I temi: colpa, memoria, identità
L’opera affronta una serie di temi universali:
- la colpa e l’innocenza, e soprattutto l’eredità della colpa
- il rapporto tra memoria e oblio, cuore della storia italiana e privata dei protagonisti
- la ricerca della verità, che per Vera è una missione e per Andrea un destino
- il vincolo tra padri e figli, il più enigmatico e difficile da decifrare
La citazione che chiude simbolicamente il romanzo – «Ha colpa il coltello di essere affilato?» – sintetizza magistralmente l’idea di responsabilità e strumento, la fragile linea che separa chi agisce da chi permette l’azione.
Conclusione: un romanzo che lascia il segno
L’orologiaio di Brest è un’opera intensa, stratificata, che scava nelle profondità della memoria personale e collettiva. Maurizio de Giovanni intreccia il destino di due persone comuni con la storia di un Paese che ancora oggi porta i segni delle sue ferite.
È un romanzo che parla di verità sepolte, di identità da ricostruire e di quel tempo sospeso che solo la conoscenza può rimettere in moto.
Un libro che non si limita a raccontare, ma interroga: chiede al lettore di riflettere su cosa significhi davvero conoscere le proprie origini e su quanto il passato possa influenzare, o addirittura determinare, il presente.
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